giovedì 14 novembre 2013

Delitto e castigo: il dramma dei fustini

Ho profonda nostalgia dello spam 1.0. Quei bei volantini rassicuranti che ti mettevano nella cassetta della posta, riciclando i quali potevi salvare tre quarti di foresta pluviale. Per i più giovani (adesso si dice nativi digitali) sintetizzo.
Dovete sapere che molto tempo fa, in un’epoca lontana in cui le persone si citofonavano ancora sotto casa, invece di mandarsi un messaggio su Whatsapp per dire: «Scendi, che sono arrivato», esistevano dei misteriosi benefattori che lasciavano nelle cassette delle lettere delle vecchiette dei suadenti volantini così pieni di immagini di santi che bastava averne uno per evitare di pagare l’IMU, in quanto la denominazione di casa passava da abitazione a edificio di culto, del tipo:


Sulle tracce di Padre Pio
Giornata di preghiera e meditazione a San Giovanni Rotondo
Quota di partecipazione 5 euro!!!
Programma:
ore 07.00: Partenza sotto casa
ore 8.30: Prima sosta all’Autogrill per rifocillarsi e per gli amici deboli di prostata
ore 9.30: Seconda sosta all’Autogrill per rifocillarsi e controllo glicemia
ore 10.15: Arrivo a San Giovanni Rotondo
ore 10.15 - 10.25: Visita della Basilica di San Giovanni Rotondo, della Tomba di Padre Pio, celebrazione della Santa Messa,  visita al museo di Padre Pio, visita guidata alla cittadina di San Giovanni Rotondo, tour nel mercatino per acquisti souvenir
ore 11.00: Pranzo in ristorante comprendente: aperitivo di benvenuto, antipasto, primo, secondo, contorno, acqua, vino, bevande, pane, grissini, dolce, caffè, amaro, digestivo
ore 12.00: Rientro a casa con breve presentazione

«Convenientissimo», direte voi. A dire la verità, il trucco consisteva nella «breve presentazione», praticamente ti sequestravano per dodici ore nel ristorante Zi’ Mariuccio costringendoti a vedere dimostrazioni di batterie di pentole con il fondo spesso quanto quello del batiscafo Trieste, materassi ergonomici, aspirapolveri potenti come Boeing 747 in fase di decollo e altri elettrodomestici di dubbio gusto e utilità. Naturalmente la vecchietta era liberissima di non comprare nulla e poteva evitare di spendere i soldi che aveva messo da parte per il matrimonio della nipote, ritornando tranquillamente a casa: magari prima un orecchio, poi un mignolo e così via.

Oggi le cose sono profondamente cambiate, lo spam della mia casella email si divide in tre macrocategorie:
  • Quelli che sono preoccupati per mia autostima: per lo più cercano di vendermi Viagra e Cialis
  • Quelli che sono preoccupati per la mia linea: o mi offrono coupon per panuozzi illimitati o cercano di farmi dimagrire a forza di tisane diuretiche
  • Quelli che sono preoccupati per il mio portafogli: ti offrono l’opportunità di guadagnare stando comodamente a casa senza dover necessariamente congelare il cadavere di tua nonna per continuare a ritirarne la pensione

Per quanto mi riproponga di cestinare lo spam senza nemmeno aprirlo, prevale in me il cosiddetto effetto del gattino spiaccicato: è, in pratica, quel richiamo ancestrale e irresistibile che ci costringe a posare lo sguardo su cose truculente e che ci fanno profondo ribrezzo. Come quando per strada vediamo un gatto spiaccicato, appunto.

Tuttavia, se ho avuto l’occasione di esplorare il meraviglioso mondo che si schiude al di là del casello autostradale di Cassino, lo devo proprio allo spam e alle meravigliose offerte di viaggio che puntualmente mi arrivano sulla mia casella email. Vi concedo che non sono alberghi a cinque stelle e che le compagnie di volo sono low cost, ma almeno le probabilità di tornare a casa sani e salvi dopo un incidente aereo sulle Alpi svizzere sono maggiori di quelle di rivedere i propri cari dopo il suddetto viaggio a San Giovanni Rotondo.

Come ogni italiano che si rispetti, la mia paura principale quando vado all’estero non è tanto quella che mi possano rapire/rapinare/violentare/vendere i miei organi/immettermi nel circuito dei combattimenti clandestini. No, il mio timore fondamentale può essere racchiuso nella frase: «E mo, che mi mangio?», con la particella riflessiva mi che esprime la più profonda costernazione.
A questo punto in me si combattono due anime:
  1. Quella no global che dice: «I piatti tipici sono parte della cultura di un Paese, non fare il solito turista che fa quattordicimilasettecentocinquanta chilometri per mangiare la pizza»
  2. L’anima più gretta e pratica che mi sussurra: «Ricordati del viaggio di tuo zio in Tailandia, che per quindici giorni si è strafogato di pappardelle di cincillà convinto che fossero di cinghiale»

Così, i primi giorni cerchi di essere open mind e frequenti bettole a cui non si accosterebbe con un bastone nemmeno lo Chef Rubio, il problema è che non lo puoi fare sempre.
Mi spiego: fin quando sei in Portogallo o in Spagna, una trattoria che fa menu turistici a 2.99 euro ancora ancora la trovi, ma provate a cercarla in Francia o in Inghilterra. Sì, lo so che a Londra ci sono i Fish’n’Chips, ma se, dopo il terzo giorno di alimentazione a base di bastoncini di merluzzo e patate fritte, in metropolitana vedi il Capitan Findus conversare allegramente con Mister Potato di Toy Story, allora capisci di avere qualche problema. E fai un passo che non avresti mai fatto a casa tua: andare da McDonald’s.


Adesso, per quanto non apprezzi particolarmente il cibo da fast food, devo riconoscere che c’è un elemento rassicurante nei McDonald’s: che tu sia alla periferia di Campobasso o nella Nuova Guinea Francese, troverai sempre gli stessi panini; non c’è assolutamente nulla da decidere: fai la fila-paghi-prendi il panino.
Tuttavia il destino è beffardo, e dopo che hai fatto quattro ore di fila combattendo strenuamente contro padri che portano figlie sulle spalle e adolescenti del luogo che mettono in dubbio la moralità di tua madre, proprio quando sei a un passo dalla meta, scopri che quel simpatico ragazzotto con gli occhiali che ti divide dalla cassiera è proprio lui: l’indeciso.


Sulle origini di questa controversa figura la comunità accademica è ancora divisa: infatti secondo alcuni studiosi di Cambridge esso sarebbe rimasto congelato migliaia di anni come l’Uomo del Similaun, secondo invece la maggioranza degli scienziati esso sarebbe animato solo da livore per la lunga attesa in fila che si ripercuote su quelli che stanno dopo di lui.
In ogni caso, entrambe le ipotesi spiegano come mai l’indeciso non sia assolutamente a conoscenza di come funziona un fast food ed impieghi perciò dai 15 ai 45 minuti a fare ragionamenti ad alta voce come i concorrenti di Chi vuol essere milionario?: «Se prendo il Big Mac ci sono due hamburger, ma nel Crispy McBacon c’è la pancetta che mi piace tanto, senza contare che nel McChicken c’è quella salsa…» e alla fine ordina le rane in umido e un bicchiere di prosecco.


Direte: «Ma l’indeciso è una figura che è nata con il capitalismo selvaggio, con l’avvento di questa società che bada più alla forma che ai contenuti e che ti inganna consentendo sì il diritto di scelta, ma solo sulle cose futili…». Purtroppo no, amici miei, l’indeciso c’è sempre stato, ce lo testimonia Fëdor Dostoevskij con il suo monolitico Delitto e castigo.
Il vero protagonista di questo libro è infatti l’indecisione.


Sarà che in Russia d’inverno faceva freddo e non si poteva uscire di casa, sarà che il nostro caro Dostoevskij avrà trovato in offerta su Ebay diciotto risme di carta, fatto sta che le millecinquecento pagine che compongono questo romanzo potrebbero essere agevolmente sintetizzate così:

Un ragazzo senza una lira decide di uccidere una strozzina. Alla fine lo acchiappano.

Prima di vedere come Dostoevskij riesce a consumare ventisei barili di inchiostro per spiegare questo concetto, è necessario mettere in guardia il lettore che si avvicini a un romanzo russo, perciò, dopo aver fatto partire un adeguato sottofondo musicale, ecco a voi la:


Adesso potete stoppare il sottofondo musicale.

Come dicevo, Delitto e castigo si basa tutto sul giovane Rodion Romanovič Raskol'nikov (ma che nel libro viene chiamato anche Rodiòn Romanyč Raskòl'nikov, e a cui gli amici si rivolgono affettuosamente anche con: Rodja e Rodka, adesso capite perché vi serve il taccuino), uno studente squattrinato (figura ormai scomparsa) che decide di ammazzare una vecchia usuraia che lo sfrutta. E già per questo il protagonista meriterebbe tutta la nostra stima.

Il problema è che il 90% del romanzo è costituito dai monologhi interiori di Rodja che da un lato vorrebbe (giustamente) spiaccicare la vecchia sotto un treno ad alta velocità, d’altro canto però è un bravo ragazzo, perciò è molto indeciso sul da farsi.
Insomma Rodja non solo è il prototipo dell’indeciso che fa la fila al McDonald’s, ma tutto Delitto e castigo potrebbe essere riassunto con la pubblicità del detersivo: «Signora accetterebbe di cambiare il suo Dash con due fustini?».

Alla fine il nostro Rodion Romanovič Raskol'nikov (lo so che non avete letto il nome per intero e vi siete fermati a Rodion) ammazza la vecchia, purtroppo però di mezzo ci va anche Lizaveta Ivanovna, l’innocente sorella dell’usuraia. Il risultato è che il restante 10% del romanzo è ambientato sul divano del protagonista che, in preda al senso di colpa, ha delle visioni e mangia dell’ottima zuppa di cipolle praticamente una pagina sì e una no.

«Tutto qui? E il resto del romanzo?». Beh, a dire la verità capitano cose di poco conto, per esempio arrivano in città la madre e Dunja, la sorella di Rodja (di cui vi risparmio i nomi completi per il bene che vi voglio) che non portano il ragazzo in comunità di recupero solo perché non le hanno ancora inventate. Poi c’è l’ex datore di lavoro, pedofilo, di Dunja che attraversa mezza Russia per molestarla, diventando il primo stalker che la letteratura ricordi. A un certo punto entra in scena anche Lužin, il danaroso fidanzato della bella Dunja, che non vede l’ora di sposarsi per avere una moglie che lo riverisca e che gli sia eternamente grata per averla sollevata dalla miseria.
Insomma, più leggiamo Delitto e castigo, più ci convinciamo che forse forse Rodja già che c’era avrebbe fatto meglio ad accoppare altri cinque-sei personaggi.

Naturalmente alla fine il bene trionfa e Rodja si costituisce pur di togliersi di torno tutta la marmaglia che gira attorno al suo divano… eppure c’è un lieto fine. Il ragazzo infatti viene sbattuto in Siberia (si vede che era una tradizione anche in epoca zarista) e nel suo destino lo segue Sonja, la figlia di un ubriacone che Rodja aveva conosciuto tempo addietro. Inizialmente il giovane sembra quasi infastidito da questa presenza, ma dagli oggi, dagli domani, si innamora e per di più diventa anche credente.

Ma perché uno dovrebbe scomodarsi a leggere Delitto e castigo? In primis si tratta di un romanzo molto particolare: Rodja per certi versi somiglia a Julien Sorel, protagonista de Il Rosso e il Nero di Stendhal: simpatico come una fistola proprio lì, dove non batte il sole. All’inizio facciamo un po’ di fatica a simpatizzare con il personaggio che è presuntuoso, supponente e pure un poco poco scassaca…, però man mano che proseguiamo con la lettura capiamo che si tratta di una maschera che indossa per non essere aggredito. Pirandello quindi non s’è inventato niente di nuovo.

Non ve la sentite ancora di affittare un muletto per ritirarlo in libreria? Allora considerate che Delitto e castigo è un romanzo con vari livelli di lettura: possiamo considerarlo uno dei primi romanzi gialli, possiamo guardarlo come una sorta di anticipazione delle storie di Kafka, possiamo analizzarlo nell’ottica cristiana, che prevede il perdono purché sentito. Pasolini ci ha addirittura visto il complesso di Edipo.
E se proprio ci troviamo in difficoltà possiamo tirare in ballo Dante (che va sempre bene): Rodja è un ragazzo tormentato e per raggiungere il suo paradiso deve passare per l’abisso della sua mente (questa me lo sono inventata io, quindi domani non andate in biblioteca a fare i fighi con questa frase).

Piccola curiosità: Dostoevskij chiamò il romanzo Delitto e castigo in onore del trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, di cui lo scrittore russo era grande ammiratore e con cui condivideva il rifiuto della pena di morte. Questa chicca la potete usare nel molto improbabile caso che a cena fra amici, giocando a Trivial Pursuit, vi capiti l’argomento Romanzi russi.

Prendetevi allora quindici giorni di ferie e spendete i vostri soldi per comprare Delitto e castigo. Tanto il Viagra che vendono su internet non funziona.

2 commenti:

  1. Stavo pensando di chiederti: "E tu come fai a sapere che ?", invece ti chiederò: "Ti rendi conto, vero, che i tuoi Incipit sono degni delle descrizioni di Gogol ne "Le anime morte"?" Quiiiiindi: tu in fondo, ma proprio in fondo, sei uno scrittore russo mancato. E comunque questo è uno dei romanzi che ho amato di più, nei miei 18 anni da zitella sfigata (forse proprio per quello) ^_^

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    1. Ti risponderò nell'ordine: le notizie su internet circolano velocemente; dopo questo paragone penso che la salma di Gogol' ora sia nel verso corretto :D

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