giovedì 11 aprile 2013

L'Odissea: Cara, esco un attimo a comprare le sigarette...


L’adolescenza è complicata. Avete voglia a dire che crescendo aumentano i problemi: non potrete mai raggiungere il livello di complicatezza mentale di un adolescente. Non mi riferisco ai noti problemi legati alla pubertà: la voce che passa da modalità cherubino a Ozzy Osbourne, il fiorire di peli che nemmeno il giardino di Versailles, sbalzi di umore che in condizioni normali sarebbero giustificabili solamente con una overdose di progesterone. 
Niente di tutto questo, il fatto è che gli adolescenti si complicano la vita da soli: mentre un topo da laboratorio messo in un labirinto per raggiungere l’uscita parte da un punto A per arrivare a un punto B, un adolescente può impiegare tutto l’alfabeto e non è escluso che nel frattempo inserisca pure qualche equazione.


Per chiarire il concetto farò un esempio pratico riguardo gli adolescenti di sesso maschile, dato che la versione femminile è più indecifrabile di un manuale di istruzioni in coreano per il lettore dvd.

Come tutti i pomeriggi sei anestetizzato davanti alla Playstation, mentre stai facendo saltare la testa al duecentesimo zombie della giornata avverti una sensazione strana. Inizialmente credi si tratti di fame, ma poi senti una vocina lontana lontana, «Forse è la mia coscienza» ti dici, ma ti stai sbagliando di nuovo: la voce non proviene dalla tua testa, ma da una sessantina di centimetri più in basso, proprio al di sotto della cintura: sono i tuoi ormoni che ti chiamano. 
Per quanto si sforzino loro non riescono a condividere il tuo entusiasmo per aver trovato il kit del pronto soccorso per continuare il gioco, anzi la vocina che senti è triste perché si sono accorti di una cosa evidente: nel raggio di 13 km2 non c’è l’ombra di un essere umano femminile con un DNA diverso dal tuo (Lara Croft non conta).


La soluzione per ovviare al problema è lampante come l’assassino in un film horror americano di serie B, quelli del tipo «Oh, c’è un maniaco seviziatore in questo bosco... Dividiamoci!»: basterebbe farti una doccia, toglierti la felpa che hai su da talmente tanto tempo che tua madre non sa più se si tratti di abbigliamento o di un tatuaggio, sfilarti il cappellino da finto rapper che indossi pure in agosto quando fanno 40 gradi e che nasconde forme di vita sorprendenti che manco nel brodo primordiale.
Ma non fai niente di tutto questo perché sei convinto che sia tutto più complicato e, lobotomizzato dalle trecento puntate di Californication che hai guardato alle tre di notte in televisione, cresce in te la perniciosa quanto infondata convinzione che devi avere successo in qualcosa per farti notare dalle ragazze.


A questo punto passi in rassegna i campi in cui potresti dimostrare il tuo talento:
  • Lo sport non fa per te, hai il fisico del giocatore di videopoker in pensione e poi l’ultima volta che hai preso una palla hai fatto autogoal. E stavi giocando a ping-pong
  • Fare il figo con la moto è fuori discussione: è pericoloso, ti hanno tolto le rotelle alla bici da poco e poi al massimo puoi impennare con l’abbonamento del pullman
  • Le pernacchie con le ascelle di solito non vengono inserite fra i talenti

Stai per rassegnarti a una vita da cercatore come fra Galdino, quando in un angolo della stanza noti un oggetto che tuo padre ti ha regalato durante il deludente Natale del ’92. Ce l’hai avuta davanti agli occhi per tutto questo tempo convinto che si trattasse di un oggetto di modernariato, ma adesso sai che quella è la chiave per risolvere i tuoi problemi: una chitarra.

Ora, da che mondo è mondo, nella mente contorta di un adolescente la chitarra è sinonimo di “acchiappanza” selvaggia, di rimorchi stile “pesca a traina”: vai in gita con la scuola? Per la convenzione di Ginevra se sai suonare hai diritto al posto in fondo all’autobus. A pasquetta hanno tutti la nonna malata e ti dicono che non andranno da nessuna parte, ma stranamente su Facebook c’è un fiorire di album dal titolo “Pasquetta fuori porta”? Con una chitarra questo problema non esiste. Il falò sulla spiaggia di Ferragosto? Beh, posala sta benedetta chitarra che tutto il mondo circostante sta limonando mentre suoni Margherita di Cocciante.

E così, guardando un tutorial su Youtube, apprendi i primi rudimenti dello strumento e, dopo sole trentasei ore ininterrotte di allenamento e i polpastrelli che sembra tu sia uscito da una sessione di morra cinese con Edward mani di forbice, sei in grado di suonare qualcosa che somiglia molto vagamente alla Canzone del Sole: tre accordi fetenti.
Tuttavia con il passare del tempo acquisti sicurezza e, proprio mentre i tuoi vicini stanno firmando un referendum per mandarti in esilio in Portogallo come i Savoia, perché non riescono più a dormire, decidi di comprare una chitarra elettrica.
Non so voi, ma dove abito io sul giornale apposito gli annunci degli strumenti musicali si trovano esattamente fra quelli zozzi e quelli per le apparecchiature mediche, per cui quando decidi di fare il grande passo la situazione è questa:


Vendo copricapezzoli elettrificato a 12.000 volt mai usato. Astenersi curiosi e perditempo

Cedo chitarra elettrica completa di amplificatore con piccola ammaccatura. Astenersi curiosi e perditempo

Occasionissima polmone d’acciaio usato per poco tempo tenuto in maniera maniacale. Telefonare ore pasti. Astenersi curiosi e perditempo. Povera nonna

Che poi vorrei conoscerli di persona questi curiosi e perditempo, esistono veramente al mondo persone che chiamano così, giusto per?

Vabbè non divaghiamo.

La “piccola ammaccatura” si rivela in realtà un buco grande come l’oblò di una lavatrice a gettoni, ma a te non importa: con la tua nuova chitarra elettrica di dodicesima mano ti senti il frutto dell’amore proibito fra Santana e Slash dei Guns N’ Roses. Alla faccia della biologia. 
Sei talmente entusiasta che cominciano a piacerti anche le canzoni di Vasco Rossi e Ligabue, anche perché sono le uniche alla tua portata.

Eppure in cuor tuo non sei davvero felice: le uniche chiamate sul telefonino continuano a essere quelle della Wind che minaccia di pagare un serial killer se non fai una ricarica; al citofono non hai ancora visto la fila di ragazze che vogliono uscire con te; benché cerchi di portare costantemente il discorso sulla musica per dire che suoni, godi ancora della popolarità di un lebbroso a Calcutta.


E qui hai il colpo di genio: la pubblicità è l’anima del commercio e per avere successo devi farti conoscere. Così ti ritrovi a fondare un gruppo insieme ad altri tre disperati a cui fino a venti minuti prima non importava assolutamente nulla della musica, ma come te hanno avuto questa intuizione geniale per dire addio all’età dell’innocenza.

Il primo periodo con i tuoi nuovi amici rasenta l’idilliaco, anche se tu volevi un nome tosto tipo Gli Squartatori, i Black Metal Symphonic Death Orchestra, Gli Sbudellatori Anonimi ma alla fine ha vinto i Gli Insoliti Teneroni, non importa: l’importante è il fine da perseguire.
Cominciate a suonare in pub dove i vibrioni in cucina camminano con le ciabatte per paura di infezioni e nel frattempo fate i fighi ammiccando alle ragazze rischiando fratture multiple provocate dai fidanzati. Dopo diversi mesi in cui venite retribuiti con panini hamburger e cipolla (in proporzione 10%-90%) uno di voi perde il lume della ragione (solitamente il cantante) e con un entusiasmo da fare invidia allo Chef Tony dice qualcosa del genere:


«Abbiamo bisogno di una svolta, abbiamo tutte le carte per sfondare. Bisogna cominciare a suonare le nostre canzoni»

Tu e gli altri lo guardate con due occhi da cartone animato giapponese chiedendovi di quali canzoni stia parlando, ma soprattutto quali acidi si sia calato. Alla fine però cedete alle sue insistenze, pure perché, che diavolo, ce la fanno ad Amici ce la potete fare anche voi.
E qui inizia il tracollo.


Sei cresciuto ascoltando Queen, Genesis, Pink Floyd e scopri che il cantante è patito per uno sconosciuto jazzista-sassofonista della Papuasia, il batterista è fan accanito di Eminem e mentre cerchi conforto nel bassista, questi ti rivela che in realtà lui è un pensionato delle Poste che ha iniziato a suonare perché con il panino hamburger-cipolla almeno aveva risolto il problema della cena.

Quando la situazione di mette in questi termini hai solo due possibilità:
  1.  Appendere la chitarra al chiodo (dalla parte dell’oblò) e cedere finalmente alla doccia e dare fuoco alla felpa-tatuaggio
  2. Cercare punti in comune

Adesso, per quanto la seconda opzione possa sembrare fantascientifica, esiste un modo per mettere tutti d’accordo: qualsiasi cosa ascoltiate (a parte Nilla Pizzi, Beethoven e qualche altro nome) è riconducibile ai Beatles. I Beatles mettono tutti d’accordo, non perché piacciano necessariamente, ma perché nessuno avrà mai il coraggio di dire: «A me fanno schifo» se non adeguatamente protetto da anonimato.

Qualcosa di simile si riscontra nella Letteratura: sia che vi piacciano i mattoni russi, sia che leggiate Grisham, sia che  considerate Fabio Volo il nuovo Siddharta, tutto, ma proprio tutto è riconducibile a Omero.
Citare Omero in una conversazione di Letteratura è come giocare il jolly a Giochi senza frontiere (questa la capiranno in pochi): vai sempre bene.


Tutto questo preambolo mi serviva per portarvi a parlare dell’Odissea di Omero, ma dato che spiegare questo capolavoro senza citare l’Iliade è difficile quasi quanto indovinare la parola nascosta della Ghigliottina di Carlo Conti, procederò con un piccolo riassunto a mo’ di telegramma:

Elena fuggita con Paride STOP Menelao et compagnia partiti per Troia per vendicare cesto di corna STOP Guerra durata dieci anni STOP Achille non tanto d’accordo con motivo guerra STOP Ulisse fa costruire cavallo per entrare in città STOP Troiani non particolarmente furbi STOP Troia distrutta tutti tornati a casa tranne Ulisse che forse ha bucato per strada o fermato a prendere un Camogli

Bene, detto questo devo procedere con una citazione necessaria:



Al che potrei rispondere: «Ma come parli proprio tu che nemmeno sei esistito?». Già, perché il nostro caro Omero, bersaglio delle bestemmie e maledizioni di una buona fetta degli studenti dei licei classici di tutto l’orbe terracqueo, non è mai realmente esistito. Il suo nome molto probabilmente significa cieco, perché nell’immaginario popolare tali erano i cantori.

«Allora chi ha scritto l’Iliade e l’Odissea?» direte voi. Molto semplice: si trattava di miti che circolavano in Grecia, una sorta di poema di fondazione per spiegarsi le proprie origini. Infatti non esisteva un testo unico dei questi due poemi e ogni città aveva una sua versione in cui l’eroe locale faceva bella figura, un po’ come quelli che sperano in un efferato omicidio a sfondo sessuale nella propria città così possono fare ciao con la manina quando vedono le telecamere della Vita in diretta.

Ma entriamo nel vivo.

L’Odissea è un poema diviso (successivamente) in 24 libri, tradizionalmente si diceva che Omero lo avesse scritto in vecchiaia perché è più “tranquillo” rispetto all’Iliade (anche se a me sembra il contrario). Protagonista assoluto è Odisseo, che per ragioni pratiche nel resto del post chiamerò col nome latino: Ulisse.

Il poema inizia con il figlio di Ulisse, Telemaco, che vuole liberarsi dai Proci che infestano casa sua. Questi sono dei principi zuzzurelloni che non vedono l’ora di fare la festa alla moglie del padrone di casa, Penelope. Roba che a confronto Emanuele Filiberto sembra Zichichi.
Dato che la guerra di Troia è finita da dieci anni e Ulisse non ha fatto nemmeno una telefonata per avvertire che ritardava, Telemaco decide di partire alla ricerca del padre. Il ragazzo è il ritratto del carisma: un misto fra Kim Jong Un e una cassettiera dell’Ikea, infatti chiede una nave ai suoi concittadini che non se lo filano nemmeno di striscio, perciò deve intervenire la dea Atena.


Nel frattempo Ulisse arriva sull’isola dei Feaci dopo aver trascorso sette anni terribili insieme a Calipso, una ninfa bellissima perdutamente innamorata di lui. Praticamente è come se dichiarassi guerra agli Stati Uniti e venissi preso prigioniero da Angelina Jolie: una vita da inferno.
Comunque Ulisse ai Feaci non rivela la sua identità e comincia a raccontare la sua storia partendo dall’inganno del cavallo di legno che tutti voi conoscete e su cui non mi dilungherò (vabbè non la racconta proprio lui, ma lasciamo stare).


Dopo aver lasciato Troia ormai distrutta, Ulisse e i suoi compagni giungono sull’isola dei Ciclopi, esseri giganti con un occhio solo. Qui vengono catturati da Polifemo, il più cretino dei Ciclopi, il che ci fa dubitare anche della presunta astuzia di Ulisse. Polifemo senza sapere né leggere né scrivere comincia a mangiarsi piano piano i compagni del nostro eroe che, per uscire dalla pericolosa situazione, lo acceca.
Ora, Polifemo ha un serio problema di alcolismo, per cui quando gli altri Ciclopi lo sentono gridare gli domandano: «Chi ti ha accecato?», lui risponde: «Nessuno», cioè il nome che gli aveva dato Ulisse. Bastava che avesse chiesto come faceva di cognome e la situazione avrebbe preso un’altra piega:


«Polifemo, chi ti ha accecato?»
«Nessuno… Nessuno Scognamiglio»


Ci voleva tanto?

Ulisse a questo punto vorrebbe fare ritorno verso casa, ma non ha calcolato che Polifemo è il cocco di papà di Poseidone, il dio dei mari, che per vendetta lo fa approdare sull’isola della maga Circe.
Avete presente le streghe, no? Senza denti, gobbe, vecchie, zoppe e via dicendo? Ebbene Ulisse capita fra le mani dell’unica strega top model del Mediterraneo, che a un certo punto uno se lo dovrebbe pure chiedere se Poseidone ce l’aveva davvero con Ulisse o no. Naturalmente Circe si innamora di Ulisse e per fargli dimenticare di prendere il largo trasforma i suoi compagni in maiali.


Fermiamoci un momento.

Alcuni hanno voluto vedere una sorta di sottotesto: «Circe è il prototipo della femminista, dato che ha tramutato i greci in porci per il loro comportamento». Adesso non è che voglio prendere le parti dei compagni di Ulisse, ma mettetevi nei panni di questi qua: innanzitutto stiamo parlando di guerrieri abituati a staccare teste a morsi, mica di studenti di Oxford (anche se sinceramente non saprei di chi avere più paura); poi sono diciotto anni che non vedono una donna nemmeno in fotografia; ci aggiungiamo che arrivano su un’isola sperduta in mezzo al mare abitata solamente da ragazze seminude… beh, un minimo di entusiasmo ci poteva stare, al massimo se veramente esageravano li trasformavi.

Qui Ulisse perde altro tempo e noi capiamo che la struttura dell’Odissea è pari pari a quella di una puntata a caso del Dottor House. Cerco di spiegarmi con uno schema:
  • Si presenta il problema
  • Ulisse (House) non fa assolutamente nulla, anzi si diverte in vario modo (ma probabilmente Ulisse si diverte di più)
  • L’equipaggio (l’equipe) fa tutto il lavoro e perde salute, sonno ed energie per risolvere la situazione
  • Il dottor Ulisse ha un’idea geniale che mette tutto a posto

In realtà bastava che Ulisse o House si fossero applicati un po’ di più e noi avremmo risparmiato diverse centinaia di versi o, in alternativa, decine di minuti di apprensione.

Dato che Ulisse non ne vuole sapere di tornare da Penelope, Atena manda Ermes a fargli presente che ci sta mezzo Olimpo e un’isola che si stanno sbattendo per lui, perciò preso dai sensi di colpa decide di ripartire.

Seguono una serie di alterne vicende, fra cui l’episodio delle Sirene e la morte di tutto l’equipaggio in seguito a un naufragio causato dal sempre ottimo Poseidone che, seppure dio, non ne azzecca una.

Al termine del racconto Ulisse svela la propria identità ai Feaci che lo guardano con due occhi così non tanto per la storia della maga, dei Ciclopi o delle Sirene, quanto per il fatto che proprio non riescono a bersi che sia stato “costretto” da Calipso a diventare il suo amante per sette anni.
Ad ogni modo Alcinoo, re dei Feaci, decide di aiutare il sovrano di Itaca a ritornare a casa, così notte tempo, mentre Ulisse dormiva, lo riportano sulla sua isola. Evidentemente non si fidavano a farlo guidare da solo.


Arrivato a Itaca, Ulisse grazie ad Atena assume le sembianze di un mendicante e, con l’ausilio di Telemaco, stermina i Proci.

FINE.. anzi, no.

Già, perché secondo una leggenda medievale (ripresa anche da Dante in Inferno XXVI) Ulisse dopo un po’ si sarebbe stufato della vita coniugale e avrebbe ripreso il largo con i suoi vecchi compagni (ma non erano morti nel naufragio?) per superare le Colonne d’Ercole e arrivare in vista del Purgatorio. 
E io che mi lamento che volare con la Ryanair è già un’avventura.


Arrivati a questo punto potrei parlarvi del meraviglioso incipit:

Cantami, o Musa, dell’uomo dal multiforme in ingegno

Di fronte al quale, come direbbe Benigni, mi dovrei denudare per la sua bellezza e postarvi le foto sulle vostre bacheche Facebook. Tuttavia, dato che so per certo che alcuni miei lettori soffrono di reflusso gastroesofageo, eviterò per il bene comune.

Piuttosto vorrei sfatare il mito di Ulisse “uomo di avventura”.
Il nostro eroe infatti, come abbiamo visto, non ci tiene minimamente a prendere il mare per affrontare l’ignoto, lui è più il tipo da cocktail con l’ombrellino sulla spiaggia, mentre la ninfa di turno gli gira intorno. Quando parte lo fa solamente sotto minaccia.


Non ne siete convinti?

Allora prendiamo l’esempio di Palamede. Secondo la mitologia greca Ulisse per non andare in guerra si finse pazzo e cominciò ad arare e seminare la sabbia (da qui l’espressione “fare lo scemo per non fare la guerra”). Ebbene Palamede per smascherarlo prese il piccolo Telemaco e lo mise davanti all’aratro costringendo Ulisse a fermarsi, dimostrando di essere sano.
In realtà non è tanto questo episodio che ci convince del fatto che Ulisse era amante della tranquillità, quanto gli avvenimenti successivi: il re di Itaca infatti si vendicò di Palamede uccidendolo a sassate. Giusto per farvi capire quanto l’aveva presa bene.


Al di là di tutto (soprattutto di questo post), l’Odissea è davvero IL poema, in cui sono racchiuse le nostre radici, non solo europee, ma addirittura umane dato che si ritrovano riferimenti in tutta la Letteratura mondiale.

E poi bisogna considerare che Omero ha sicuramente avuto sugli scrittori di tutto il mondo più influenza di quanta ne avrà mai Moccia.
E non è nemmeno esistito.


MESSAGGIO SOCIALE

Ogni anno migliaia di chitarre vengono maltrattate da adolescenti che si sentono rock star. Anche tu puoi fare qualcosa: parla con tuo figlio, tuo nipote, tuo cugino e digli che di solito quello che suona la chitarra regge il moccolo agli altri che limonano. Vedrai che non toccherà nessuno strumento musicale per il resto della vita.

2 commenti:

  1. ...improvvisamente ho capito perché mio marito è stato subito affascinato da me, quando ci siamo incontrati: lui suonava la chitarra e io reggevo il moccolo cantando a tutte le feste, mentre gli altri passavano dall'adolescenza all'età adulta limonando sulle note della mia voce....Credo che la musica avvicini gli spiriti -sfigati- affini :) Forse Ulisse avrebbe dovuto suonare la chitarra, se non altro Calipso si sarebbe annoiata al terzo accordo di Ballando sul mondo...

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    1. Dai, se hai conosciuto così tuo marito, Ligabue almeno una cosa buona l'ha fatta :D

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