I
letterati sono gente strana. Non mi riferisco al fatto che crediamo di poterci
fare una vita con la cultura, quello sarebbe il meno, è che noi abbiamo la
scala dei problemi totalmente sfasata. La crisi economica, la questione
mediorientale, le energie rinnovabili? Per uno che ha studiato Lettere quella è
roba da Miss Italia, tipo quando vince e Carlo Conti le chiede:
«Allora
cosa ti senti di dire?»
«Vorrei
ringraziare la mia mamma, il mio papà e vorrei la pace nel mondo»
Un
letterato ti tiene segregato due ore a parlare della Congiura di Catilina, si
commuove per la peste del Seicento descritta da Manzoni manco l’avesse vissuta
in prima persona e quando inizia un discorso sul ruolo della Francia
nell’economia europea non vi lasciate ingannare: quasi sicuramente sta parlando
di Vercingetorige.
In
realtà tutto ciò non è sintomo di profonda cultura, quanto piuttosto del fatto
che non avendo un lavoro come tutta la gente normale è costretto a passare il
tempo e a sfogarsi in questo modo, almeno quando non è impegnato a piangersi
addosso dicendo frasi del genere: «Dovevo nascere cinquant’anni fa, all’epoca
sì che i laureati in Lettere erano apprezzati». Naturalmente in questa profonda
analisi storico-sociale non tiene conto che attualmente ci sono precari della
scuola ultrasettantenni.
Per
quanto mi riguarda, io sfogo la mia frustrazione nel modo più molesto che un
letterato possa concepire: correggendo gli altri. A dire la verità questa
fastidiosa abitudine si manifesta nel soggetto molto prima che si laurei, come
quando a quattordici/quindici anni ci si scambiano gli sms fra fidanzatini:
Ecco
perché ci riproduciamo più lentamente dei panda
e dei gorilla di montagna.
Chi
soffre di questa patologia conduce una vita triste, nell’attesa di infierire
crudelmente sull’apparato riproduttivo del povero malcapitato che abbia messo
una Z in più in civilizzazzione. E non si limita ai conoscenti: frequenta blog che
legge attentamente nemmeno fossero contratti Telecom, spulcia i tweet di
giornalisti e politici per coglierli in fallo e poi postare al mondo il
risultato, frequenta pagine Facebook correggendo amministratori e commentatori
facendo emergere in loro i più brutali istinti forcaioli. Il buon senso non
serve a niente, quando vediamo un errore diventiamo cani da caccia, una volta
fiutato il sangue dobbiamo attaccare. Una volta ho discusso per tre giorni con
il frequentatore di un gruppo (no, non era Gli
ossessivo-compulsivi dell’ospedale psichiatrico) perché usava in maniera
impropria la parola fandonia, come
ogni buon tossicomane che si rispetti mi sono reso conto dell’atrocità delle
mie azioni solamente dopo.
Ma
signori miei, questo è niente, dove noi diamo il massimo, dove raggiungiamo
l’apice di questa malata soddisfazione è quando sbagliano i professionisti,
come i telegiornali. Non mi riferisco agli errori di battitura della striscia
del Tg2 del tipo:
«Il
presidento Nappolitano ha chiesto di abasare i tonni»
Quello
che ci fa infuriare è più sottile, come l’uso di assolutamente:
«Lei è
d’accordo con questa decisione?»
«Assolutamente»
Assolutamente cosa? Assolutamente è un avverbio, ci devi mettere qualcosa vicino, un
sì, un no, un panino col salame, una qualsiasi cosa, ma da solo non ci può
stare.
Personalmente
ciò che mi provoca una serie di tic a ripetizione è l’uso scorretto
dell’aggettivo boccaccesco, nel senso
di pruriginoso, sporcaccione. Questa piccola parolina ha dato origine a uno dei più
grandi equivoci della storia della Letteratura: Boccaccio è stato il maestro
spirituale di Martufello.
Tuttavia
la questione non è priva di aspetti positivi, infatti negli studenti più
smaliziati, quando si parla di Boccaccio, si attivano nientemeno che tutti i
diciotto neuroni dell’ACIDA (Area
delle Cose Inutili Da Assimilare). In un adolescente medio di sesso maschile
questa zona rappresenta il 2% del cervello e qui vengono immagazzinate le
materie scolastiche e le raccomandazioni dei genitori, il restante 98% serve
per la ricerca, catalogazione e archiviazione dei video di Belèn Rodriguez (non
vi illudete anche le femminucce hanno l’ACIDA). Così mentre i giovani virgulti
appena sentono nominare il Decameron
sono convinti sia la versione medievale dei film dei fratelli Vanzina, il
professore, manco fosse Morpheus in Matrix, può approfittare di questa falla
del sistema per rifilare loro un pippone di due ore sul grandissimo autore
fiorentino.
Ma
vediamo effettivamente cos’è il Decameron.
Giovanni
Boccaccio nasce a Certaldo nel 1313, probabilmente da una donna di umili
origini e da Boccaccio Boccaccino (che, nonostante il nome, non era parente né del
Cappuccino, né del Mocaccino). Il
padre lavorava per la Compagnia de’ Bardi,
che all’epoca era l’equivalente di una holding multinazionale con affari in
tutto il mondo. A quattordici anni Giovanni e il padre si trasferiscono a
Napoli per affari e qui il futuro scrittore inizia prima a cercare di
apprendere i segreti del mestiere paterno, poi si dedica al diritto canonico,
in realtà però il ragazzo non ne vuole sapere e invece di iscriverlo alla Scuola Radio Elettra per farne un eccellente
consulente dell’Expo di Milano, il
padre decide di lasciarlo libero di dedicarsi alla sua passione per la
scrittura. Pensate che sfortuna per i milanesi!
Durante
questo soggiorno nasce la figura di Fiammetta
che solo per uno sfortunato caso del destino ha lo stesso nome della
conduttrice di Wild, programma che
costringerebbe Gandhi a rivedere le sue posizioni sulla non violenza e sul
diritto di espressione. Come altre donne della letteratura (vedi Beatrice e
Laura), Fiammetta è naturalmente solo un destinatario ideale delle poesie,
probabilmente non è mai esistita e se è esistita magari si chiamava Concetta e
nemmeno sapeva dell’esistenza di Boccaccio.
Ma
veniamo alla parte interessante: com’è che il nome di Boccaccio è diventato
sinonimo di indicibili zozzonerie? Perché nel 1349 inizia a scrivere la sua
opera più famosa: il Decameron, la
raccolta di novelle più importante della storia della Letteratura.
Giovanni
Boccaccio non si limita a scrivere delle novelle a casaccio, ma le ordina
all’interno di una struttura comunemente denominata cornice, cioè fornisce un pretesto per raccontare le storielle (che
nella maggior parte dei casi non hanno nulla di pruriginoso).
Siamo
nel 1348 e Firenze è devastata da un’epidemia di peste (in cui muore anche
Boccaccino). Qui si vede il genio italiano: uno sceneggiatore americano avrebbe
tirato fuori da questa situazione:
- Dieci stagioni di The Walking Dead
- Nel peggiore dei casi un originalissimo film catastrofico in 3D in cui uno dei genitori cerca il figlio e dopo tre ore e mezza di effetti speciali e dialoghi scritti da un opossum che cammina a caso sulla tastiera, finalmente i due riescono a riabbracciarsi.
Invece
Boccaccio (a costo zero) piazza sette ragazze e tre ragazzi in una villa fuori
città. L’allegra combriccola durante il giorno fa varie attività, ma il
problema è svagarsi la sera dato che non si sono portati dietro nemmeno una Settimana Enigmistica. E cosa possono
fare di sera dieci ragazzi in una villa abbandonata, senza alcun controllo?
Esattamente il contrario di quello che state pensando. Infatti i giovani decidono
di scegliere un argomento per ogni giorno e di raccontare una storiella in
tema, ad eccezione di Dioneo che è il più giovane e perciò gli viene concesso
di non attenersi all’argomento della giornata.
Per i
personaggi della cornice Boccaccio sceglie dei nomi “parlanti” che non sto qui
ad elencarvi, pure perché non è che appena finito di leggere vi trovate in
salotto un professore di Cambridge pronto a interrogarvi.
Il nome Decameron invece viene dal greco e
significa “dieci giorni”, cioè l’arco di tempo in cui si svolge la vicenda,
facendo due rapidi calcoli capiamo bene che l’opera è composta da cento
novelle, numero tondo tondo che richiama l’opera che Boccaccio ammirava di più:
la Commedia di Dante Alighieri (sì,
lo so che nel Medioevo il cento era un numero particolare, ma a me piace
pensare che l’abbia fatto per Dante).
A questo
punto dovrei farvi il riassunto di ogni novella, analizzarla, mettere in
risalto i temi e esplicitare le fonti, ma già sento il caratteristico tintinnio
delle compresse di barbiturico, quindi mettete giù i tubetti e tirate un
sospiro di sollievo.
Quello che
voglio dimostrare è che il Decameron
non è affatto un’opera vietata ai minori. Per farlo non è necessario che lo
leggiamo tutto, non che faccia male, ma sinceramente non riesco a immaginarmi
nessuno che dopo dieci ore di fabbrica torna a casa e dice alla moglie:
«Ah,
finalmente posso leggermi in santa pace il Decameron
scritto in fiorentino del Trecento»
Ci
basterà perciò fare un esperimento in tre semplici passi:
- Trovare il Decameron in casa
- Toglierlo dal tavolo sotto cui lo avevamo messo per evitare che ballasse
- Aprire una pagina a caso
La legge
dei grandi numeri ci insegna che se apriamo una pagina a caso dieci volte,
almeno un paio di volte dobbiamo trovare una caviglia, una coscia, insomma
qualcosa di licenzioso, invece con nostro grande stupore leggeremo solo di
gente furba, pazza, stupida, fortunata.
A ben
vedere le novelle “erotiche” (e non è comunque il termine più esatto) saranno
cinque o sei, però tanto per cambiare sono quelle che si ricordano di più e che
hanno dato origine all’accezione di boccaccesco
che normalmente mi fa cadere le braccia (e sto usando un eufemismo).
Se
invece volete una prova scientifica di quello che sto dicendo, basterà dare un’occhiata
ai temi delle giornate:
- Prima giornata: Tema libero
- Seconda giornata: Avventure a lieto fine
- Terza giornata: Ritrovamento o ottenimento di una cosa che si desidera
- Quarta giornata: Amori infelici
- Quinta giornata: La felicità raggiunta dagli amanti dopo aver vissuto avventure incredibili
- Sesta giornata: Risposte argute
- Settima giornata: Beffe fatte dalle donne nei confronti dei mariti
- Ottava giornata: Beffe di ogni genere
- Nona giornata: Tema libero
- Decima giornata: Avventure di ogni genere vissute con cortesia e magnanimità
Quindi
il vero problema di tutto è la Settima Giornata che ha ispirato indimenticabili
film come Decameron Pie, che
ricordiamo per la magistrale interpretazione di Elisabetta Canalis, superata finora
solamente dall’espressione delle triglie surgelate sul banco del pescivendolo.
Non che
la situazione a scuola sia migliore, infatti dopo che la prof ha sudato come
uno sherpa tibetano per spiegare il Decameron,
alla fine è costretta a far leggere sempre la stessa novella da quarantacinque
anni: Chichibio e la gru. Roba che
anche la più animalista delle professoresse a un certo punto si sarà augurata
la completa estinzione di questi simpatici volatili.
Il Decameron è un’opera per tutti, anzi
alcune novelle potrebbero essere tranquillamente lette ai bambini al posto
delle favole (Hans e Gretel bruciano viva una vecchina dopo essere stati
abbandonati dai genitori, per dire). L’importanza di questa opera è tale che ne
è stato affascinato anche Chaucer e ne ha fatto un modello per i suoi Racconti di Canterbury, quindi dovremmo
considerarci abbastanza fortunati a poterla leggere in lingua originale.
E se proprio non ci va di
leggerlo tutto, almeno pensiamoci due volte prima di dire boccaccesco. Potreste salvare la vita a un letterato evitando di
fargli partire un embolo.
Detto questo, vi prometto che in futuro non vi triturerò più le scatole col minipimer con queste (inutili) precisazioni.
Aggiornamento e (inopportune) precisazioni...
In seguito alla pubblicazione di questo post mi sono arrivate delle mail simpatiche in cui mi hanno fatto le pulci per tutti i refusi, altre invece non proprio carine in cui ci si chiedeva come mai non mi avessero accompagnato a calci non-mi-ricordo-bene-dove fuori dall'università.
A questi ultimi voglio precisare che:
- Questo blog è ignorant-friendly, cioè si rivolge agli studenti con poca voglia di mettersi sui libri, ai miei nonni (che hanno fatto fino alla terza elementare), così come ai puristi della lingua italiana. Per questo motivo, a parte clamorose sviste (ce ne sono, anch'io sono figlio del Creato), tendo ad utilizzare l'italiano dell'uso medio, cioè la lingua parlata dai comuni mortali (confessatelo che anche voi non usate così spesso i congiuntivi)
- Se proprio siete dei puristi della lingua italiana, tenete presente che Tullio De Mauro e l'Accademia della Crusca hanno un sito ufficiale che potete leggere beatamente come un eroinomane si fa di metadone per disintossicarsi
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RispondiElimina....oddio!!!! Ma questo è il mio ritratto!!! Io mi incavolo e urlo stizzita improperi di ogni genere pure quando sento qualche oscenità al TG!! Mamma mia...ora m'hai fatto intristire... (però, scusa, ma si può mettere la particella “ci” dopo quella riflessiva e dire: "Si ci deve accontentare"?? No, dico, non ti si attorciglia l'intestino attorno ai polmoni pure a te?!?)
RispondiElimina...ah, per la cronaca: mi fai morire. Assolutamente... sì. E, sempre per la cronaca, Chaucer usa dei doppi sensi che a confronto Boccaccio è suor Maria Claretta.
Ti ringrazio per i complimenti. Chaucer è un grande, ma i "Racconti di Canterbury" soffrono della sindrome dei sequel: devono essere per forza esagerati rispetto al primo della serie ("Lo Squalo" docet).
Elimina"Si ci deve accontentare" non l'avevo mai sentito, ma la prossima volta che qualcuno lo usa procurati un lanciafiamme, secondo alcuni è più efficace di qualsiasi manuale di grammatica :D
...e quando lo senti dire più e più volte anche da un medico, forse un lanciafiamme è l'unica soluzione davvero O.o
EliminaIo nella mia ACIDA catalogavo foto e articoli di Johnny Depp e Keanu Reeves... Tanto per confermarne l'esistenza anche per le femminucce.
RispondiEliminaNon sono propriamente una letterata, ma questa tendenza alla correzione dei testi e delle parole altrui l'ho ereditata in pieno dalla mia mamma maestra... non è una qualità molto apprezzata, nevvero?!
Considerati fortunata che l'hai ereditata, chi, come me, ci è nato o l'acquisita successivamente rischia il linciaggio in famiglia e con gli amici tutte le volte che corregge un congiuntivo.
EliminaConfesso, anch'io sono affetta dalla sindrome della maestrina (una cosa orribile, perché nemmeno le migliori maestrine sono infallibili). Più che la riflessione sul Decameron, mi ha fatto riflettere la caricatura del letterato. Secondo me, il vero letterato ha una spinta in più nell'analizzare il presente proprio per la sua conoscenza dei meccanismi delle epoche che furono. Un po' come si riesce a fare in questo blog, che mi sembra molto ispirato a Benigni, alla Littizzetto, alla contemporaneità, pur parlando di opere e autori di decenni/secoli fa (per ora). Però, vabbè, era una caricatura e quindi ci stava :)
RispondiEliminaComplimenti per il titolo!
Ti ringrazio innanzitutto per i complimenti. Spero solo che né Benigni, né la Littizzetto leggano mai il tuo commento, altrimenti rischi che ti querelino :D
EliminaHo appena scovato il tuo blog: mi sto scompisciando.
RispondiEliminaSono giovane e precaria, ma "Chichibio e la gru" l'ho fatta leggere anch'io :D
Continua così :)
È l'effetto Matrix, ormai ci hanno assimilato :D. Sono contento che ti piaccia il blog e ti ringrazio per i complimenti (chiedi perdono ai tuoi studenti per aver fatto leggere "Chihibio e la gru") :D
EliminaCiao, ti faccio i miei complimenti per il blog! Davvero spassoso e illuminante :) Finalmente, dopo tremila esami sostenuti alla facoltà di lettere, è bello vedere l'altra faccia della Letteratura!
RispondiEliminaTi ringrazio tantissimo per i complimenti e benvenuto nel Lato Oscuro della Letteratura :D
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