Non mi dilungherò sulla «splendida carrellata quasi cinematografica
ecc… ecc…» tanto Manzoni l’ha copiata da Dante che a sua volta l’aveva copiata
da Virgilio, quindi passiamo ad altro.
Il primo personaggio che incontriamo è Don Abbondio che il 7 novembre del 1628 (tutto si può dire a Manzoni, ma non che non fosse preciso) se ne sta tornando a casa e si imbatte in due scagnozzi di Don Rodrigo, i bravi. Ora, la leggenda vuole che si trattasse del Nibbio e del Griso, in realtà però Manzoni non esplicita mai i loro nomi, tanto più che il Nibbio era il bravo dell’Innominato. Per chi non l’avesse capito questa è la chicca da sparare durante le interrogazioni/esami e fare il figo con la prof.
Ad ogni modo le due brave personcine intimano al prete di non sposare Renzo e Lucia il giorno seguente, cosa che il religioso, seppur con un po’ di riluttanza, è ben disposto a fare pur di non pigliarle di santa ragione. Bisogna fare a questo punto una riflessione: non c’è critico al mondo che non consideri Don Abbondio un personaggio con forti sfumature negative. Personalmente non sono affatto d’accordo: Don Abbondio è un tipo pacifico, che ha scelto di fare il prete per stare tranquillo, mica per andare in missione in Congo. Se poi ci aggiungiamo che la zona di Lecco nel ‘600 aveva un tasso di criminalità così alto che le Vele di Scampia a confronto sono dei graziosi chalet sul Lago di Ginevra, potete capire che il pover’uomo tutti i torti non li aveva.
Comunque il prete, da bravo ecclesiastico vecchio stile, pensa bene di non fare nemmeno un colpo di telefono (si fa per dire) ai futuri sposi, così la mattina dopo Renzo, che già pregustava le gioie coniugali, recatosi dal sacerdote si sente dire che mancano ancora delle formalità. A questo punto del romanzo lo studente e il lettore medio rimangono un attimo spiazzati, la scena che si presenta è la seguente: mi devo sposare, Lucia sta agghindata peggio di una gallina padovana e io che faccio? Urlo un po’ e me ne vado? La spiegazione è semplice: innanzitutto non è che Renzo poteva andare dai carabinieri a denunciare Don Rodrigo, in secondo luogo la reazione relativamente composta del giovane dipende dai seguenti fattori:
Il primo personaggio che incontriamo è Don Abbondio che il 7 novembre del 1628 (tutto si può dire a Manzoni, ma non che non fosse preciso) se ne sta tornando a casa e si imbatte in due scagnozzi di Don Rodrigo, i bravi. Ora, la leggenda vuole che si trattasse del Nibbio e del Griso, in realtà però Manzoni non esplicita mai i loro nomi, tanto più che il Nibbio era il bravo dell’Innominato. Per chi non l’avesse capito questa è la chicca da sparare durante le interrogazioni/esami e fare il figo con la prof.
Ad ogni modo le due brave personcine intimano al prete di non sposare Renzo e Lucia il giorno seguente, cosa che il religioso, seppur con un po’ di riluttanza, è ben disposto a fare pur di non pigliarle di santa ragione. Bisogna fare a questo punto una riflessione: non c’è critico al mondo che non consideri Don Abbondio un personaggio con forti sfumature negative. Personalmente non sono affatto d’accordo: Don Abbondio è un tipo pacifico, che ha scelto di fare il prete per stare tranquillo, mica per andare in missione in Congo. Se poi ci aggiungiamo che la zona di Lecco nel ‘600 aveva un tasso di criminalità così alto che le Vele di Scampia a confronto sono dei graziosi chalet sul Lago di Ginevra, potete capire che il pover’uomo tutti i torti non li aveva.
Comunque il prete, da bravo ecclesiastico vecchio stile, pensa bene di non fare nemmeno un colpo di telefono (si fa per dire) ai futuri sposi, così la mattina dopo Renzo, che già pregustava le gioie coniugali, recatosi dal sacerdote si sente dire che mancano ancora delle formalità. A questo punto del romanzo lo studente e il lettore medio rimangono un attimo spiazzati, la scena che si presenta è la seguente: mi devo sposare, Lucia sta agghindata peggio di una gallina padovana e io che faccio? Urlo un po’ e me ne vado? La spiegazione è semplice: innanzitutto non è che Renzo poteva andare dai carabinieri a denunciare Don Rodrigo, in secondo luogo la reazione relativamente composta del giovane dipende dai seguenti fattori:
- Non ha dovuto spendere 20.000 euro in bomboniere di purissimo cristallo di Boemia
- Non è stato costretto consumare l’intera liquidazione per prenotare il ristorante per 350 persone
- Lucia non l’ha tenuto dodici ore in ostaggio all’Ikea per decidere quale colore dei mobili della cucina si intonasse meglio con quello del ramo del lago di Como
Venuto a sapere che il responsabile di tutto è Don Rodrigo
(anche grazie a una mezza confessione di Lucia), Renzo decide di affidarsi alla
consulenza di un esperto: l’avvocato Azzeccagarbugli. Questo personaggio è un
esempio della modernità di Manzoni, oltre a dimostrare quanto la professione
forense sia rimasta coerente nel corso dei secoli perché:
- Non ha la minima idea di cosa si stia parlando
- Gli interessano solo i soldi
- Appena capisce che si può compromettere politicamente lascia perdere
Capito che non si cava un ragno dal buco Agnese, madre di
Lucia, finalmente prende le redini della situazione, mette da parte i due
imbranati e decide di chiedere aiuto a un altro religioso: Fra Cristoforo.
Com’è noto San Cristoforo è il protettore degli automobilisti (ma anche dei
viandanti), ironicamente il frate, che all’ “anagrafe” faceva Lodovico, decide
di prendere i voti proprio per una questione di viabilità stradale, roba del
tipo: «c’ho io la precedenza», «non sai chi sono io», «forse non hai capito con
chi stai parlando» e altre amenità del genere. A seguito della suddetta
discussione Lodovico fa secco l’altro e per il rimorso decide di fare il
Cappuccino (e qui le facili battute si sprecano).
Dopo il tentativo fallito da parte del frate di convincere Don Rodrigo che
Lucia non è poi mica Miss Universo, e quello di Renzo di mettere Don Abbondio
davanti al fatto compiuto (e non è quello a cui state pensando), Fra Cristoforo
consiglia ai due di scappare presso alcuni suoi confratelli. Con questo
pretesto Manzoni costruisce una delle pagine più commoventi della storia della
letteratura: il cosiddetto Addio ai monti,
di cui non posso esimermi dal parlare, almeno non prima che abbiate letto
questo disclaimer:
Bòn, adesso che abbiamo messo in chiaro le cose possiamo
discutere serenamente. Ora vi dovrei parlare di questo addio lacerante, che
strazia il cuore solo a ricordarlo, di come esso rappresenti la spiritualità di
Lucia tramite il movimento verticale, ma sento già russare. Non voglio entrare
nel merito della meravigliosa poetica dell’ Addio
ai monti, però è un dato di fatto che studiarlo a scuola sia
controproducente. Lo studente medio infatti alla fine del capitolo VIII del
romanzo cade in uno stato di trance neurovegetativa: rivoli di bava fuoriescono
dalle bocche semiaperte di quelle che una volta erano giovani testoline avide
di sapere. La verità (la MIA verità) è che l’Addio ai monti è una palla mortale che si può apprezzare solo si
verifica almeno una delle seguenti circostanze:
- Se si è della provincia di Lecco
- Se si legge I Promessi Sposi senza essere costretti dalla scuola, dal professore o dal Papa
E ora possono partire i 92 minuti di applausi.
Nel prossimo post ci avvieremo verso la parte centrale e
(finalmente) la conclusione del romanzo.