L’adolescenza è complicata. Avete voglia a dire che
crescendo aumentano i problemi: non potrete mai raggiungere il livello di
complicatezza mentale di un adolescente. Non mi riferisco ai noti problemi
legati alla pubertà: la voce che passa da modalità cherubino a Ozzy Osbourne, il
fiorire di peli che nemmeno il giardino di Versailles, sbalzi di umore che in
condizioni normali sarebbero giustificabili solamente con una overdose di
progesterone.
Niente di tutto questo, il fatto è che gli adolescenti si complicano la vita da
soli: mentre un topo da laboratorio messo in un labirinto per raggiungere
l’uscita parte da un punto A per arrivare a un punto B, un adolescente può
impiegare tutto l’alfabeto e non è escluso che nel frattempo inserisca pure
qualche equazione.
Per chiarire il concetto farò un esempio pratico riguardo
gli adolescenti di sesso maschile, dato che la versione femminile è più
indecifrabile di un manuale di istruzioni in coreano per il lettore dvd.
Come tutti i pomeriggi sei anestetizzato davanti alla Playstation, mentre stai facendo saltare
la testa al duecentesimo zombie della giornata avverti una sensazione strana.
Inizialmente credi si tratti di fame, ma poi senti una vocina lontana lontana,
«Forse è la mia coscienza» ti dici, ma ti stai sbagliando di nuovo: la voce non
proviene dalla tua testa, ma da una sessantina di centimetri più in basso,
proprio al di sotto della cintura: sono i
tuoi ormoni che ti chiamano.
Per quanto si sforzino loro non riescono a condividere il tuo entusiasmo per
aver trovato il kit del pronto soccorso per continuare il gioco, anzi la vocina
che senti è triste perché si sono accorti di una cosa evidente: nel raggio di
13 km2 non c’è l’ombra di un essere umano femminile con un DNA
diverso dal tuo (Lara Croft non
conta).
La soluzione per ovviare al problema è lampante come
l’assassino in un film horror americano di serie B, quelli del tipo «Oh, c’è un
maniaco seviziatore in questo bosco... Dividiamoci!»: basterebbe farti una
doccia, toglierti la felpa che hai su da talmente tanto tempo che tua madre non
sa più se si tratti di abbigliamento o di un tatuaggio, sfilarti il cappellino
da finto rapper che indossi pure in agosto quando fanno 40 gradi e che nasconde
forme di vita sorprendenti che manco nel brodo primordiale.
Ma non fai niente di tutto questo perché sei convinto che sia tutto più
complicato e, lobotomizzato dalle trecento puntate di Californication che hai guardato alle tre di notte in televisione,
cresce in te la perniciosa quanto infondata convinzione che devi avere successo
in qualcosa per farti notare dalle ragazze.
A questo punto passi in rassegna i campi in cui potresti
dimostrare il tuo talento:
- Lo sport non fa per te, hai il fisico del giocatore di videopoker in pensione e poi l’ultima volta che hai preso una palla hai fatto autogoal. E stavi giocando a ping-pong
- Fare il figo con la moto è fuori discussione: è pericoloso, ti hanno tolto le rotelle alla bici da poco e poi al massimo puoi impennare con l’abbonamento del pullman
- Le pernacchie con le ascelle di solito non vengono inserite fra i talenti
Stai per rassegnarti a una vita da cercatore come fra Galdino,
quando in un angolo della stanza noti un oggetto che tuo padre ti ha regalato
durante il deludente Natale del ’92. Ce l’hai avuta davanti agli occhi per
tutto questo tempo convinto che si trattasse di un oggetto di modernariato, ma
adesso sai che quella è la chiave per risolvere i tuoi problemi: una chitarra.
Ora, da che mondo è mondo, nella mente contorta di un
adolescente la chitarra è sinonimo di “acchiappanza” selvaggia, di rimorchi
stile “pesca a traina”: vai in gita con la scuola? Per la convenzione di Ginevra se sai suonare hai diritto al posto in fondo
all’autobus. A pasquetta hanno tutti la nonna malata e ti dicono che non andranno
da nessuna parte, ma stranamente su Facebook c’è un fiorire di album dal titolo
“Pasquetta fuori porta”? Con una chitarra questo problema non esiste. Il falò
sulla spiaggia di Ferragosto? Beh, posala sta benedetta chitarra che tutto il
mondo circostante sta limonando mentre suoni Margherita di Cocciante.
E così, guardando un tutorial su Youtube, apprendi i primi rudimenti dello strumento e, dopo sole trentasei
ore ininterrotte di allenamento e i polpastrelli che sembra tu sia uscito da
una sessione di morra cinese con Edward
mani di forbice, sei in grado di suonare qualcosa che somiglia molto
vagamente alla Canzone del Sole: tre
accordi fetenti.
Tuttavia con il passare del tempo acquisti sicurezza e, proprio mentre i tuoi
vicini stanno firmando un referendum per mandarti in esilio in Portogallo come
i Savoia, perché non riescono più a
dormire, decidi di comprare una chitarra elettrica.
Non so voi, ma dove abito io sul giornale apposito gli annunci degli strumenti
musicali si trovano esattamente fra quelli zozzi e quelli per le
apparecchiature mediche, per cui quando decidi di fare il grande passo la
situazione è questa:
Vendo copricapezzoli elettrificato a 12.000 volt mai usato. Astenersi
curiosi e perditempo
Cedo chitarra elettrica completa
di amplificatore con piccola ammaccatura. Astenersi curiosi e perditempo
Occasionissima polmone d’acciaio usato per poco tempo tenuto in maniera
maniacale. Telefonare ore pasti. Astenersi curiosi e perditempo. Povera nonna
Che poi vorrei conoscerli di persona questi curiosi e perditempo, esistono veramente al mondo persone che chiamano così,
giusto per?
Vabbè non divaghiamo.
La “piccola ammaccatura” si rivela in realtà un buco grande
come l’oblò di una lavatrice a gettoni, ma a te non importa: con la tua nuova
chitarra elettrica di dodicesima mano ti senti il frutto dell’amore proibito
fra Santana e Slash dei Guns N’ Roses. Alla faccia della
biologia.
Sei talmente entusiasta che cominciano a piacerti anche le canzoni di Vasco
Rossi e Ligabue, anche perché sono le uniche alla tua portata.
Eppure in cuor tuo non sei davvero felice: le uniche chiamate sul telefonino continuano
a essere quelle della Wind che
minaccia di pagare un serial killer se non fai una ricarica; al citofono non hai
ancora visto la fila di ragazze che vogliono uscire con te; benché cerchi di
portare costantemente il discorso sulla musica per dire che suoni, godi ancora della
popolarità di un lebbroso a Calcutta.
E qui hai il colpo di genio: la pubblicità è l’anima del
commercio e per avere successo devi farti conoscere. Così ti ritrovi a fondare
un gruppo insieme ad altri tre disperati a cui fino a venti minuti prima non
importava assolutamente nulla della musica, ma come te hanno avuto questa
intuizione geniale per dire addio all’età dell’innocenza.
Il primo periodo con i tuoi nuovi amici rasenta l’idilliaco,
anche se tu volevi un nome tosto tipo Gli
Squartatori, i Black Metal Symphonic
Death Orchestra, Gli Sbudellatori
Anonimi ma alla fine ha vinto i Gli
Insoliti Teneroni, non importa: l’importante è il fine da perseguire.
Cominciate a suonare in pub dove i vibrioni in cucina camminano con le ciabatte
per paura di infezioni e nel frattempo fate i fighi ammiccando alle ragazze
rischiando fratture multiple provocate dai fidanzati. Dopo diversi mesi in cui
venite retribuiti con panini hamburger e cipolla (in proporzione 10%-90%) uno
di voi perde il lume della ragione (solitamente il cantante) e con un
entusiasmo da fare invidia allo Chef Tony
dice qualcosa del genere:
«Abbiamo bisogno di una svolta, abbiamo tutte le carte per
sfondare. Bisogna cominciare a suonare le nostre canzoni»
Tu e gli altri lo guardate con due occhi da cartone animato
giapponese chiedendovi di quali canzoni stia parlando, ma soprattutto quali
acidi si sia calato. Alla fine però cedete alle sue insistenze, pure perché,
che diavolo, ce la fanno ad Amici ce
la potete fare anche voi.
E qui inizia il tracollo.
Sei cresciuto ascoltando Queen,
Genesis, Pink Floyd e scopri che il cantante è patito per uno sconosciuto
jazzista-sassofonista della Papuasia, il batterista è fan accanito di Eminem e mentre cerchi conforto nel bassista,
questi ti rivela che in realtà lui è un pensionato delle Poste che ha iniziato
a suonare perché con il panino hamburger-cipolla almeno aveva risolto il
problema della cena.
Quando la situazione di mette in questi termini hai solo due
possibilità:
- Appendere la chitarra al chiodo (dalla parte dell’oblò) e cedere finalmente alla doccia e dare fuoco alla felpa-tatuaggio
- Cercare punti in comune
Adesso, per quanto la seconda opzione possa sembrare
fantascientifica, esiste un modo per mettere tutti d’accordo: qualsiasi cosa
ascoltiate (a parte Nilla Pizzi, Beethoven e qualche altro nome) è
riconducibile ai Beatles. I Beatles mettono tutti d’accordo, non
perché piacciano necessariamente, ma perché nessuno avrà mai il coraggio di
dire: «A me fanno schifo» se non adeguatamente protetto da anonimato.
Qualcosa di simile si riscontra nella Letteratura: sia che
vi piacciano i mattoni russi, sia che leggiate Grisham, sia che considerate
Fabio Volo il nuovo Siddharta, tutto,
ma proprio tutto è riconducibile a Omero.
Citare Omero in una conversazione di Letteratura è come giocare il jolly a Giochi senza frontiere (questa la capiranno in pochi): vai sempre
bene.
Tutto questo preambolo mi serviva per portarvi a parlare
dell’Odissea di Omero, ma dato che
spiegare questo capolavoro senza citare l’Iliade
è difficile quasi quanto indovinare la parola nascosta della Ghigliottina di Carlo Conti, procederò con un piccolo riassunto a mo’ di
telegramma:
Elena fuggita con
Paride STOP Menelao et compagnia partiti per Troia per vendicare cesto di corna
STOP Guerra durata dieci anni STOP Achille non tanto d’accordo con motivo
guerra STOP Ulisse fa costruire cavallo per entrare in città STOP Troiani non
particolarmente furbi STOP Troia distrutta tutti tornati a casa tranne Ulisse che
forse ha bucato per strada o fermato a prendere un Camogli
Bene, detto questo devo procedere con una citazione
necessaria:
Al che potrei rispondere: «Ma come parli proprio tu che
nemmeno sei esistito?». Già, perché il nostro caro Omero, bersaglio delle
bestemmie e maledizioni di una buona fetta degli studenti dei licei classici di
tutto l’orbe terracqueo, non è mai realmente esistito. Il suo nome molto
probabilmente significa cieco, perché
nell’immaginario popolare tali erano i cantori.
«Allora chi ha scritto l’Iliade
e l’Odissea?» direte voi. Molto
semplice: si trattava di miti che circolavano in Grecia, una sorta di poema di fondazione per spiegarsi le
proprie origini. Infatti non esisteva un testo unico dei questi due poemi e
ogni città aveva una sua versione in cui l’eroe locale faceva bella figura, un
po’ come quelli che sperano in un efferato omicidio a sfondo sessuale nella
propria città così possono fare ciao
con la manina quando vedono le telecamere della Vita in diretta.
Ma entriamo nel vivo.
L’Odissea è un
poema diviso (successivamente) in 24 libri, tradizionalmente si diceva che
Omero lo avesse scritto in vecchiaia perché è più “tranquillo” rispetto all’Iliade (anche se a me sembra il
contrario). Protagonista assoluto è Odisseo, che per ragioni pratiche nel resto
del post chiamerò col nome latino: Ulisse.
Il poema inizia con il figlio di Ulisse, Telemaco, che vuole
liberarsi dai Proci che infestano casa sua. Questi sono dei principi
zuzzurelloni che non vedono l’ora di fare la festa alla moglie del padrone di
casa, Penelope. Roba che a confronto Emanuele Filiberto sembra Zichichi.
Dato che la guerra di Troia è finita da dieci anni e Ulisse non ha fatto
nemmeno una telefonata per avvertire che ritardava, Telemaco decide di partire
alla ricerca del padre. Il ragazzo è il ritratto del carisma: un misto fra Kim
Jong Un e una cassettiera dell’Ikea,
infatti chiede una nave ai suoi concittadini che non se lo filano nemmeno di
striscio, perciò deve intervenire la dea Atena.
Nel frattempo Ulisse arriva sull’isola dei Feaci dopo aver
trascorso sette anni terribili insieme a Calipso, una ninfa bellissima
perdutamente innamorata di lui. Praticamente è come se dichiarassi guerra agli
Stati Uniti e venissi preso prigioniero da Angelina Jolie: una vita da inferno.
Comunque Ulisse ai Feaci non rivela la sua identità e comincia a raccontare la
sua storia partendo dall’inganno del cavallo di legno che tutti voi conoscete e
su cui non mi dilungherò (vabbè non la racconta proprio lui, ma lasciamo
stare).
Dopo aver lasciato Troia ormai distrutta, Ulisse e i suoi
compagni giungono sull’isola dei Ciclopi, esseri giganti con un occhio solo. Qui
vengono catturati da Polifemo, il più cretino dei Ciclopi, il che ci fa
dubitare anche della presunta astuzia di Ulisse. Polifemo senza sapere né
leggere né scrivere comincia a mangiarsi piano piano i compagni del nostro eroe
che, per uscire dalla pericolosa situazione, lo acceca.
Ora, Polifemo ha un serio problema di alcolismo, per cui quando gli altri
Ciclopi lo sentono gridare gli domandano: «Chi ti ha accecato?», lui risponde:
«Nessuno», cioè il nome che gli aveva dato Ulisse. Bastava che avesse chiesto
come faceva di cognome e la situazione avrebbe preso un’altra piega:
«Polifemo, chi ti ha accecato?»
«Nessuno… Nessuno Scognamiglio»
Ci voleva tanto?
Ulisse a questo punto vorrebbe fare ritorno verso casa, ma
non ha calcolato che Polifemo è il cocco di papà di Poseidone, il dio dei mari,
che per vendetta lo fa approdare sull’isola della maga Circe.
Avete presente le streghe, no? Senza denti, gobbe, vecchie, zoppe e via
dicendo? Ebbene Ulisse capita fra le mani dell’unica strega top model del Mediterraneo, che a un certo
punto uno se lo dovrebbe pure chiedere se Poseidone ce l’aveva davvero con
Ulisse o no. Naturalmente Circe si innamora di Ulisse e per fargli dimenticare
di prendere il largo trasforma i suoi compagni in maiali.
Fermiamoci un momento.
Alcuni hanno voluto vedere una sorta di sottotesto: «Circe è
il prototipo della femminista, dato che ha tramutato i greci in porci per il
loro comportamento». Adesso non è che voglio prendere le parti dei compagni di
Ulisse, ma mettetevi nei panni di questi qua: innanzitutto stiamo parlando di
guerrieri abituati a staccare teste a morsi, mica di studenti di Oxford (anche
se sinceramente non saprei di chi avere più paura); poi sono diciotto anni che
non vedono una donna nemmeno in fotografia; ci aggiungiamo che arrivano su un’isola
sperduta in mezzo al mare abitata solamente da ragazze seminude… beh, un minimo
di entusiasmo ci poteva stare, al massimo se veramente esageravano li
trasformavi.
Qui Ulisse perde altro tempo e noi capiamo che la struttura
dell’Odissea è pari pari a quella di
una puntata a caso del Dottor House.
Cerco di spiegarmi con uno schema:
- Si presenta il problema
- Ulisse (House) non fa assolutamente nulla, anzi si diverte in vario modo (ma probabilmente Ulisse si diverte di più)
- L’equipaggio (l’equipe) fa tutto il lavoro e perde salute, sonno ed energie per risolvere la situazione
- Il dottor Ulisse ha un’idea geniale che mette tutto a posto
In realtà bastava che Ulisse o House si fossero applicati un
po’ di più e noi avremmo risparmiato diverse centinaia di versi o, in
alternativa, decine di minuti di apprensione.
Dato che Ulisse non ne vuole sapere di tornare da Penelope,
Atena manda Ermes a fargli presente che ci sta mezzo Olimpo e un’isola che si
stanno sbattendo per lui, perciò preso dai sensi di colpa decide di ripartire.
Seguono una serie di alterne vicende, fra cui l’episodio
delle Sirene e la morte di tutto l’equipaggio in seguito a un naufragio causato
dal sempre ottimo Poseidone che, seppure dio, non ne azzecca una.
Al termine del racconto Ulisse svela la propria identità ai
Feaci che lo guardano con due occhi così non tanto per la storia della maga,
dei Ciclopi o delle Sirene, quanto per il fatto che proprio non riescono a
bersi che sia stato “costretto” da Calipso a diventare il suo amante per sette
anni.
Ad ogni modo Alcinoo, re dei Feaci, decide di aiutare il sovrano di Itaca a
ritornare a casa, così notte tempo, mentre Ulisse dormiva, lo riportano sulla
sua isola. Evidentemente non si fidavano a farlo guidare da solo.
Arrivato a Itaca, Ulisse grazie ad Atena assume le sembianze
di un mendicante e, con l’ausilio di Telemaco, stermina i Proci.
FINE.. anzi, no.
Già, perché secondo una leggenda medievale (ripresa anche da
Dante in Inferno XXVI) Ulisse dopo un
po’ si sarebbe stufato della vita coniugale e avrebbe ripreso il largo con i
suoi vecchi compagni (ma non erano morti nel naufragio?) per superare le
Colonne d’Ercole e arrivare in vista del Purgatorio.
E io che mi lamento che volare con la Ryanair
è già un’avventura.
Arrivati a questo punto potrei parlarvi del meraviglioso incipit:
Cantami, o Musa,
dell’uomo dal multiforme in ingegno
Di fronte al quale, come direbbe Benigni, mi dovrei denudare
per la sua bellezza e postarvi le foto sulle vostre bacheche Facebook.
Tuttavia, dato che so per certo che alcuni miei lettori soffrono di reflusso gastroesofageo, eviterò per il
bene comune.
Piuttosto vorrei sfatare il mito di Ulisse “uomo di
avventura”.
Il nostro eroe infatti, come abbiamo visto, non ci tiene minimamente a prendere
il mare per affrontare l’ignoto, lui è più il tipo da cocktail con l’ombrellino
sulla spiaggia, mentre la ninfa di turno gli gira intorno. Quando parte lo fa
solamente sotto minaccia.
Non ne siete convinti?
Allora prendiamo l’esempio di Palamede. Secondo la mitologia
greca Ulisse per non andare in guerra si finse pazzo e cominciò ad arare e
seminare la sabbia (da qui l’espressione “fare lo scemo per non fare la
guerra”). Ebbene Palamede per smascherarlo prese il piccolo Telemaco e lo mise
davanti all’aratro costringendo Ulisse a fermarsi, dimostrando di essere sano.
In realtà non è tanto questo episodio che ci convince del fatto che Ulisse era
amante della tranquillità, quanto gli avvenimenti successivi: il re di Itaca
infatti si vendicò di Palamede uccidendolo a sassate. Giusto per farvi capire
quanto l’aveva presa bene.
Al di là di tutto (soprattutto di questo post), l’Odissea è davvero IL poema, in cui sono
racchiuse le nostre radici, non solo europee, ma addirittura umane dato che si
ritrovano riferimenti in tutta la Letteratura mondiale.
E poi bisogna considerare che Omero ha sicuramente avuto
sugli scrittori di tutto il mondo più influenza di quanta ne avrà mai Moccia.
E non è nemmeno esistito.
MESSAGGIO SOCIALE
Ogni anno migliaia di
chitarre vengono maltrattate da adolescenti che si sentono rock star. Anche tu
puoi fare qualcosa: parla con tuo figlio, tuo nipote, tuo cugino e digli che di
solito quello che suona la chitarra regge il moccolo agli altri che limonano. Vedrai
che non toccherà nessuno strumento musicale per il resto della vita.
...improvvisamente ho capito perché mio marito è stato subito affascinato da me, quando ci siamo incontrati: lui suonava la chitarra e io reggevo il moccolo cantando a tutte le feste, mentre gli altri passavano dall'adolescenza all'età adulta limonando sulle note della mia voce....Credo che la musica avvicini gli spiriti -sfigati- affini :) Forse Ulisse avrebbe dovuto suonare la chitarra, se non altro Calipso si sarebbe annoiata al terzo accordo di Ballando sul mondo...
RispondiEliminaDai, se hai conosciuto così tuo marito, Ligabue almeno una cosa buona l'ha fatta :D
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